IGNAZIO D’AVALOS Y DE ARAGONA (1589-1591)

Il cronista incognito lo chiama Innico Davalos. Nacque a Napoli dalla nobile famiglia dei marchesi di Vasto. Fu cavaliere dell’ordine di S. Jacopo delle Spagne e cancelliere del regno. Papa Pio IV (1560-65), che evidentemente aveva un debole per la nobiltà, nello stesso concistoro nel quale aveva creato cardinale il Conza, creò cardinale anche il D’Avalos. Questa nomina avvenne lo stesso giorno in cui, a Trento, si teneva la sessione XVIII del Concilio che pubblicava un decreto per la pubblicazione dell’indice dei libri proibiti. Era il 26 febbraio 1562. Fu eletto cardinal diacono del titolo di S. Lucia in Selci. Passò poi tra l’ordine dei preti con il titolo prima di S. Adriano e poi di S. Lorenzo in Lucina. Nel 1563 fu eletto arcivescovo di Torino, alla quale dignità rinunciò a favore di Gerolamo della Rovere. Successivamente Pio V (1566-72) gli affidò l’amministrazione della chiesa di Mileto in Calabria. Sotto Sisto V (1585-90) passò dalla Chiesa di Sabina a quella di Frascati, che lasciò nel 1591 per optare per quella di Porto, ove tenne un concilio diocesano. Gli furono affidati diversi incarichi importanti che assolse con abilità. Quando Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605) fu assente da Roma, il D’Avalos fu legato a latere. Prese parte a ben sette conclavi. Alla sua morte, avvenuta a Roma il 20 marzo 1600, fu pianto da chi ben conosceva e apprezzava i suoi meriti, tra cui la modestia, la purezza dei costumi e il severo contegno. Con questo cardinale hanno inizio le “Visite ad Limina” dei vescovi tuscolani. La sua porta la data del 9 aprile 1590. Nella relazione presentata dà notizie dello stato in cui versa tutta la diocesi. Scrive che la diocesi di Frascati non ha sede episcopale. Probabilmente voleva far notare che, nonostante vicino alla cattedrale ci fosse una grossa costruzione di proprietà del Papa, il cardinale vescovo non vi aveva neanche una stanza a disposizione. Denuncia che la povertà e scarsità del clero, non esiste nè un teologo nè un penitenziere. Informa che la rendita della cattedrale è di scudi 200 annui, che la cattedrale stessa non è molto grande ed urge di riparazioni, sia al tetto che alle mura perimetrali. I religiosi dei due ordini esistenti a Frascati: Cappuccini e Gesuiti, predicano nelle varie località della diocesi e i Gesuiti, la domenica, in cattedrale, insegnano il catechismo ai bambini. Alcune pie istituzioni, invece, insegnano musica e grammatica. Pone in rilievo l’esistenza di varie confraternite: del S.mo Sacramento, del Gonfalone, del S.mo Rosario, del S.mo Nome di Gesù e Maria, della Nazione Milanese. Rileva anche l’esistenza di un “ospedale non meglio precisato”. Nella stessa relazione, in data 5 aprile 1590, il cardinale scrive che entro le mura della città esiste una sola casa religiosa, quella dei Gesuiti, e che non c’è seminario. Fa presente che su Monteporzio esiste un diritto della famiglia Borghese e che gli altri abitanti sono pochi e poveri; che Montecompatri da molti mesi è senza guida spirituale; che da ben otto anni, a Rocca Priora non c’è il curato e che a Rocca di Papa il curato manca da tre anni. Nella medesima relazione viene precisata l’esistenza di francescani osservanti e la costituzione di una nuova confraternita, detta della Carità, avente lo scopo di raccogliere elemosine da distribuire ai poveri, e di un Monte di Pietà. Il cardinale ha provveduto ad inviare predicatori sia per la Quaresima sia per l’Avvento; ha ispezionato i libri parrocchiali, però, non è stato in grado di convocare un Sinodo diocesano. Precisa anche che gli arredi sacri della cattedrale per lo più sono doni del cardinale Alessandro II Farnese e del cardinal Savelli. L’Oldoino ne parla all’anno 1560.