NICOLA II (1219-1227)

Apparteneva alla nobile famiglia siciliana dei Chiaromonti. Era monaco cistercense e quando venne innalzato alla porpora fu assegnato alla sede di Frascati nel 1219. Il cronista incognito lo chiama “dell’imperial stirpe di Carlo Magno siciliano” e così lo definisce anche C. B. Piazza. Uomo coraggioso e costante e dottissimo, fu inviato in qualità di legato a Federico II onde spronarlo a mantenere fede all’impegno preso nel 1120, dopo l’incoronazione, ad imperatore, a capeggiare una crociata per liberare il Santo Sepolcro. La missione del Chiaromonte riuscì, tanto che Federico II partì per la V crociata (1218-21). L’azione, però, si bloccò subito dopo l’ occupazione di Damietta alle foci del Nilo, in quanto l’imperatore venne meno alle promesse. Fu anche legato a Napoli per promuovere contro i Saraceni infedeli e scismatici la Santa guerra e la lega tra i principi cristiani. Il Chiaromonte fu il primo vescovo di Frascati ad abitare nel palazzo annesso alla chiesa di S. Maria in Monasterio, vicino alle terme di Tito e concesso da Onorio III come sede diocesana tuscolana. Fu sepolto in questo Monastero nel 1227. L‘Oldoini, nella sua opera cita questo cardinale vescovo relativamente all’anno 1216. A questo punto è necessario dire qualcosa sulla Sede Vescovile di S. Maria in Monasterio. Nel 970 Giovanni XIII, nipote di Marozia per parte di madre e da parte di padre, discendente dei Crescenzi, famiglia che in quel periodo torbido saliva in potenza, concedeva alla senatrice Stefania, sua stretta parente, la città di Palestrina fino alla terza generazione. Questo documento venne ritrovato nella chiesa di S. Maria in Monasterio. Perché esso si trovava là? Una ragione ci doveva essere. La senatrice Stefania non era altro che la zia di Gregorio I de Tuscolana, perciò si può supporre che quel monastero appartenesse alla famiglia dei conti di Tuscolo. Per questo il documento fu ritrovato là. Questa ipotesi sembrerebbe avvalorata dal fatto che Onorio III (1216-27) proprio perché il monastero era dei Conti di Tuscolo, lo concesse, come residenza in Roma dei vescovi tuscolani, al vescovo tuscolano Niccolò Chiaromonte. Tanto è vero che i Malabranca di Ariccia, che forse erano succeduti ai primi proprietari, i conti di Tuscolo, ne reclamarono i diritti. Nel 1417 il papa Martino V dei Colonna, ramo discendente dai conti di Tuscolo, pose la chiesa di S. Maria in Monasterio sotto la dipendenza di S. Pietro in Vincoli, in quanto i cardinali vescovi tuscolani non la usavano più come loro residenza. Nel 1527 Clemente VII, con motu proprio la fece abbattere perché pericolante. Nel periodo del Chiaromonte ancora non esisteva l’uso dell’opzione o passaggio tra i sei vescovi delle sedi suburbicarie. Il C. B. Piazza scrive che a questo insigne cardinale ed ai vescovi tuscolani successivi, Onorio III con bolla del 1219 concesse per abitazione in Roma il palazzo con chiesa annessa di S. Maria della Purificazione nel rione Monti. In questo luogo ebbero residenza i vescovi tuscolani da Onorio III a Martino V. La chiesa di cui si parla fu una delle più insigni abbazie dei Benedettini o Basiliani e poi concessa come già riferito ai monaci di S. Pietro in Vincoli, che erano dell’ordine di s. Gerolamo.